SPUNTI DI RESILIENZA – UNO PSICOLOGO
NEI LAGER
Rita Pancaldo Psicologa – Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
«[…] è come quando si
accosta un magnete a delle schegge di ferro: immediatamente esse
assumono un ordine. L’integrazione della vita psichica e la sua
conseguenza, l’autorealizzazione, e la conseguenza di questa, ossia
il raggiungimento della felicità, sono tutti effetti collaterali
dell’essere orientati verso uno scopo.
Non vi è nulla al mondo
che sia in grado di aiutare un uomo a superare disagi interiori o
difficoltà esteriori quanto la consapevolezza di avere un compito
specifico, il sapere che esiste un significato assolutamente
concreto, non nel complesso della vita, bensì ora e qui, nella
concreta situazione in cui egli si trova. E questo si è visto ad
esempio nei campi di prigionia.
Tra gli studenti della
mia università in California avevo anche alcuni ufficiali americani.
E tra questi, casualmente, c’erano i tre ufficiali che avevano
trascorso i più lunghi periodi di prigionia nei campi dei
nordvietnamiti: celle di isolamento e altre cose del genere,
semplicemente inimmaginabile. E uno di loro addirittura per sette,
dico sette anni! Ebbene, abbiamo organizzato una discussione
pubblica, ed il risultato è stato che se c’è stato qualcosa che
li ha tenuti in vita – e la stessa cosa la si può sentire dai
reduci di Stalingrado e dai prigionieri dei campi di concentramento –
era il sapere che nel futuro c’era qualcosa che li attendeva.
Qualcosa o qualcuno» (Frankl, 1995).
«Riassumiamo: il
compimento di se stesso e la realizzazione di se stesso saranno
conseguiti a titolo di effetto del compimento del significato e della
realizzazione dei valori» (Frankl, 1996).
Questi passaggi sono di
Viktor Emil Frankl (1905 – 1997) professore di neurologia e
psichiatria presso l’università di Vienna e docente in varie
università nordamericane. Frankl ha fondato la Logoterapia,
considerata la terza scuola viennese di psicoterapia, dopo quella di
Sigmund Freud (fondatore della psicoanalisi) e di Alfred Adler
(fondatore della psicologia individuale).
La Logoterapia è, come
la definisce Frankl: «una psicoterapia orientata al senso, anzi
incentrata su di esso (logos in questo contesto vuol dire proprio
“senso”)» (Frankl, 1996).
Viktor Frankl nacque a
Vienna nel 1905. La sua casa natale si trovava a pochi passi dalla
casa di Alfred Adler e a pochi passi da quella in cui Johann Strauss
compose il famoso valzer “Sul bel Danubio blu” (Frankl, 1997).
Questo paesaggio ricco di cultura, di musica, di amore familiare, di
studi, di riflessioni (all’età di 16 anni iniziò una relazione
epistolare con Freud) fu sconvolto e lacerato dalla persecuzione
antisemita.
Durante la Seconda Guerra
Mondiale, Frankl fu deportato e internato in quattro campi di
concentramento: Theresienstadt, Auschwitz, Kaufering III e Türkeim.
Venne deportata anche la sua famiglia: il padre, la madre, il
fratello e Tilly, la prima moglie di Frankl di appena 25 anni.
Morirono tutti nei lager nazisti.
Le esperienze dei tre
anni trascorsi nei campi di concentramento sono raccontate da Frankl
nel suo libro “Uno psicologo nei lager” (Frankl, 2009). In questi
luoghi di morte e di violenza, dove le persone sono ridotte a un
numero - quello di Frankl era 119.104 - poté prendere contatto,
però, anche con la forza che c’è in ogni essere umano, con la sua
capacità di andare oltre l’esperienza immanente, di dimenticarsi
di sé a favore di qualcos’Altro da sé: «l’uomo è sé stesso
nella misura in cui si supera e si dimentica» (Frankl, 1996).
Scrive ancora Frankl:
«Chi ha letto queste pagine, nelle quali abbiamo tentato di
raffigurare i sintomi psicologici e di chiarire la psicopatologia dei
caratteri tipici impressi sull’uomo dopo una lunga permanenza in
campo di concentramento, potrebbe concludere che l’anima umana è
in ultima analisi fatalmente e in modo inequivocabile condizionata
dall’ambiente. Nella psicologia del Lager, infatti, è proprio
questo particolare ambiente sociale a plasmare, in apparenza
fatalmente, l’atteggiamento dell’uomo. Ci potremmo dunque
chiedere: dov’è la libertà dell’uomo? Non esiste alcuna libertà
spirituale nel comportamento dell’individuo, nella sua reazione
alle condizioni ambientali? È vero dunque, come vorrebbe farci
credere una Weltanschauung (visione del mondo o concezione del mondo)
naturalistica, che l’uomo è solo il prodotto di alcune componenti
e condizioni biologiche, psicologiche o sociali? […] “Sotto la
costrizione delle circostanze”, delle condizioni di vita esistenti
nel Lager, “non ci si può comportare diversamente?” Ecco:
possiamo rispondere a queste domande sia basandoci sulle nostre
esperienze, che in linea di principio. In base alle esperienze,
proprio la vita nel Lager ci ha mostrato che l’uomo è veramente in
grado di “comportarsi diversamente”. Potremmo riferire molti
esempi, spesso eroici, che hanno provato come, in certi casi, si
possa soffocare quell’apatia e quella irritabilità; come dunque
sopravvive un resto di libertà spirituale, di libero atteggiamento
dell’io verso il mondo, anche in quello stato, solo in apparenza di
assoluta coazione, tanto esterna quanto interiore. Chi, tra coloro,
che hanno vissuto in campi di concentramento, non potrebbe parlare di
persone che percorrevano le piazze d’armi o le baracche dei Lager,
dicendo una buona parola o regalando l’ultimo boccone di pane? E se
pure sono stati pochi – bastano questi esempi per dimostrare che
all’uomo nel Lager si può prendere tutto, eccetto una cosa sola:
l’ultima libertà umana di affrontare spiritualmente, in un modo o
nell’altro, la situazione imposta» (Frankl, 2009).
Rita Pancaldo
Psicologa –
Psicoterapeuta
Cognitivo-Comportamentale
BIBLIOGRAFIA
Frankl, V.E. (1995). In principio era
il senso. Dalla psicoanalisi alla logoterapia. Brescia: Editrice
Queriniana
Frankl, V.E. (1996). Alla ricerca di un
significato della vita. Milano: Mursia
Frankl, V.E. (1997). La vita come
compito. Appunti autobiografici. Torino: SEI.
Frankl, V.E. (2009). Uno psicologo nei
lager. Milano: Edizioni Ares.