è bello....

penso che possa essere molto bello essere uguali agli altri, ma anche diversi. Libertà significa potere scegliere sia di conformarsi a logiche ordinarie sia di non farlo. Ogni Mente è Diversa in quanto unica!

giovedì 4 giugno 2020


SPUNTI DI RESILIENZA – UNO PSICOLOGO NEI LAGER
Rita Pancaldo Psicologa – Psicoterapeuta  Cognitivo-Comportamentale


«[…] è come quando si accosta un magnete a delle schegge di ferro: immediatamente esse assumono un ordine. L’integrazione della vita psichica e la sua conseguenza, l’autorealizzazione, e la conseguenza di questa, ossia il raggiungimento della felicità, sono tutti effetti collaterali dell’essere orientati verso uno scopo.
Non vi è nulla al mondo che sia in grado di aiutare un uomo a superare disagi interiori o difficoltà esteriori quanto la consapevolezza di avere un compito specifico, il sapere che esiste un significato assolutamente concreto, non nel complesso della vita, bensì ora e qui, nella concreta situazione in cui egli si trova. E questo si è visto ad esempio nei campi di prigionia.
Tra gli studenti della mia università in California avevo anche alcuni ufficiali americani. E tra questi, casualmente, c’erano i tre ufficiali che avevano trascorso i più lunghi periodi di prigionia nei campi dei nordvietnamiti: celle di isolamento e altre cose del genere, semplicemente inimmaginabile. E uno di loro addirittura per sette, dico sette anni! Ebbene, abbiamo organizzato una discussione pubblica, ed il risultato è stato che se c’è stato qualcosa che li ha tenuti in vita – e la stessa cosa la si può sentire dai reduci di Stalingrado e dai prigionieri dei campi di concentramento – era il sapere che nel futuro c’era qualcosa che li attendeva. Qualcosa o qualcuno» (Frankl, 1995).
«Riassumiamo: il compimento di se stesso e la realizzazione di se stesso saranno conseguiti a titolo di effetto del compimento del significato e della realizzazione dei valori» (Frankl, 1996).

Questi passaggi sono di Viktor Emil Frankl (1905 – 1997) professore di neurologia e psichiatria presso l’università di Vienna e docente in varie università nordamericane. Frankl ha fondato la Logoterapia, considerata la terza scuola viennese di psicoterapia, dopo quella di Sigmund Freud (fondatore della psicoanalisi) e di Alfred Adler (fondatore della psicologia individuale).
La Logoterapia è, come la definisce Frankl: «una psicoterapia orientata al senso, anzi incentrata su di esso (logos in questo contesto vuol dire proprio “senso”)» (Frankl, 1996).

Viktor Frankl nacque a Vienna nel 1905. La sua casa natale si trovava a pochi passi dalla casa di Alfred Adler e a pochi passi da quella in cui Johann Strauss compose il famoso valzer “Sul bel Danubio blu” (Frankl, 1997). Questo paesaggio ricco di cultura, di musica, di amore familiare, di studi, di riflessioni (all’età di 16 anni iniziò una relazione epistolare con Freud) fu sconvolto e lacerato dalla persecuzione antisemita.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, Frankl fu deportato e internato in quattro campi di concentramento: Theresienstadt, Auschwitz, Kaufering III e Türkeim. Venne deportata anche la sua famiglia: il padre, la madre, il fratello e Tilly, la prima moglie di Frankl di appena 25 anni. Morirono tutti nei lager nazisti.

Le esperienze dei tre anni trascorsi nei campi di concentramento sono raccontate da Frankl nel suo libro “Uno psicologo nei lager” (Frankl, 2009). In questi luoghi di morte e di violenza, dove le persone sono ridotte a un numero - quello di Frankl era 119.104 - poté prendere contatto, però, anche con la forza che c’è in ogni essere umano, con la sua capacità di andare oltre l’esperienza immanente, di dimenticarsi di sé a favore di qualcos’Altro da sé: «l’uomo è sé stesso nella misura in cui si supera e si dimentica» (Frankl, 1996).

Scrive ancora Frankl: «Chi ha letto queste pagine, nelle quali abbiamo tentato di raffigurare i sintomi psicologici e di chiarire la psicopatologia dei caratteri tipici impressi sull’uomo dopo una lunga permanenza in campo di concentramento, potrebbe concludere che l’anima umana è in ultima analisi fatalmente e in modo inequivocabile condizionata dall’ambiente. Nella psicologia del Lager, infatti, è proprio questo particolare ambiente sociale a plasmare, in apparenza fatalmente, l’atteggiamento dell’uomo. Ci potremmo dunque chiedere: dov’è la libertà dell’uomo? Non esiste alcuna libertà spirituale nel comportamento dell’individuo, nella sua reazione alle condizioni ambientali? È vero dunque, come vorrebbe farci credere una Weltanschauung (visione del mondo o concezione del mondo) naturalistica, che l’uomo è solo il prodotto di alcune componenti e condizioni biologiche, psicologiche o sociali? […] “Sotto la costrizione delle circostanze”, delle condizioni di vita esistenti nel Lager, “non ci si può comportare diversamente?” Ecco: possiamo rispondere a queste domande sia basandoci sulle nostre esperienze, che in linea di principio. In base alle esperienze, proprio la vita nel Lager ci ha mostrato che l’uomo è veramente in grado di “comportarsi diversamente”. Potremmo riferire molti esempi, spesso eroici, che hanno provato come, in certi casi, si possa soffocare quell’apatia e quella irritabilità; come dunque sopravvive un resto di libertà spirituale, di libero atteggiamento dell’io verso il mondo, anche in quello stato, solo in apparenza di assoluta coazione, tanto esterna quanto interiore. Chi, tra coloro, che hanno vissuto in campi di concentramento, non potrebbe parlare di persone che percorrevano le piazze d’armi o le baracche dei Lager, dicendo una buona parola o regalando l’ultimo boccone di pane? E se pure sono stati pochi – bastano questi esempi per dimostrare che all’uomo nel Lager si può prendere tutto, eccetto una cosa sola: l’ultima libertà umana di affrontare spiritualmente, in un modo o nell’altro, la situazione imposta» (Frankl, 2009).

Rita Pancaldo
Psicologa – Psicoterapeuta
Cognitivo-Comportamentale

BIBLIOGRAFIA
Frankl, V.E. (1995). In principio era il senso. Dalla psicoanalisi alla logoterapia. Brescia: Editrice Queriniana
Frankl, V.E. (1996). Alla ricerca di un significato della vita. Milano: Mursia
Frankl, V.E. (1997). La vita come compito. Appunti autobiografici. Torino: SEI.
Frankl, V.E. (2009). Uno psicologo nei lager. Milano: Edizioni Ares.

mercoledì 13 maggio 2020


TORNARE A CASA
Dott.ssa Rita Pancaldo

Psicologa – Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale


Parlare di tornare a casa in un tempo in cui la maggior parte delle persone già sta a casa può senz’altro sembrare strano.
In realtà, stiamo parlando di un altro modo di “tornare a casa”, cioè a quell’esperienza di contatto con sé stessi, che in questi tempi quanto meno anomali, ci potrebbe far ritrovare sensazioni di tranquillità, di radicamento interno, di familiarità, di presenza di sé.
E come possiamo fare?
Un modo è concedersi di “fermarsi” proprio in senso fisico, sospendere quello che si sta facendo e, come suggerisce ad esempio la Mindfulness, sedersi assumendo una postura stabile, eretta ma non rigida e portare l’attenzione alla respirazione, al respiro che entra e che esce, osservandolo nel suo percorso. Si tratta di “far caso” a come si respira, alle pause tra inspirazione ed espirazione, alle parti del corpo che si muovono mentre si respira. È uno dei primi passi della pratica di Mindfulness.
Che cos’è la Mindfulness?
È una pratica di meditazione che deriva dalla tradizione meditativa buddista; è stata introdotta in Occidente nei primi anni 80 dal Prof. di medicina Jon Kabat-Zinn che cominciò ad applicarla ai pazienti ricoverati presso l’ospedale della Boston University.
Per quanto tempo bisogna stare seduti ad osservare il respiro?
Si può partire da pochi minuti, 5-10, e poi con la pratica si può aumentare. Si può partire anche da un minuto. Per un minuto mi fermo e, se mi trovo a mio agio chiudo gli occhi, altrimenti guardo un punto davanti a me, e riscopro il mio respiro … e poi decido se continuare o fermarmi.
Come faccio a sapere se sto meditando bene oppure no?
Non c’è un modo corretto o sbagliato. Si tratta di fare l’esperienza del proprio respiro e nessuno può dire che la tua esperienza è sbagliata o è corretta. È la tua esperienza. Si porta l’attenzione al respiro così come sappiamo portare la nostra attenzione a tanti momenti e azioni della quotidianità. Ognuno di noi ha già esperienza di questo stato. In noi c’è il ricordo di questo stato.
Nello specifico, si tratta di scegliere un momento in cui mi dedico intenzionalmente a questo tipo di esperienza, dirigendo l’attenzione a una cosa che è sempre con me: il respiro. Il suggerimento che si può dare è quello di non modificare il respiro, ma osservarlo così come avviene.

Ma quando provo a fare qualcosa con attenzione spesso mi viene di pensare a tutt’altro …

Questo vuol dire che la tua mente funziona in modo normale. La mente per sua natura tende a divagare, a cambiare scenari, a pensare tanti pensieri, forme, suoni, ricordi. Se la mente non fosse in grado di divagare potremmo rimanere ancorati a un contenuto mentale per anni, come un disco rotto. Sarebbe terribile e inquietante. Meditare non significa “fissarsi” su qualcosa e avere in mente solo quello. Nella meditazione di Mindfulness si tratta di portare la propria attenzione allo svolgersi dell’esperienza così come avviene senza giudizi del tipo: “sto meditando bene … sto meditando male … non dovrei pensare a cosa mangiare questa sera” (che poi in questo periodo è difficile non pensare a cosa mangiare …) e se ti viene da pensare: “sto meditando male” o altro, semplicemente lo noti e ritorni al tuo respiro, con un’attenzione gentile e benevola.

Ma per meditare bisogna stare per forza seduti?

Si suggerisce la posizione seduta, comoda, eretta e non rigida, perché una posizione del corpo stabile favorisce il movimento di portare l’attenzione al respiro. Ma nella meditazione di Mindfulness è prevista anche la meditazione camminata, cioè si medita mentre si cammina.
In generale, mi sento di dire che, le persone che per una sorta di “disposizione personale” sono già portate a questo tipo di esperienza possono accedere a questo stato anche svolgendo un’attività: ad esempio, mentre sto lavando i piatti, faccio attenzione al mio respiro, e poi al contatto con l’acqua, alle bolle di sapone, ecc. Ma altre persone possono trovare più agevole, invece, sospendere quello che stanno facendo e sedersi in un posto tranquillo. Ognuno di noi è diverso.

Come ti sei avvicinata alla meditazione?
È un tema che mi ha attratto fin dall’adolescenza. Ho diverse esperienze personali di meditazione, alcune veramente belle, ma ho potuto indirettamente trarre esperienza anche guardando altre persone. C’è un episodio che ancora oggi riporto alla mente per predispormi alla meditazione o quando devo affrontare un lavoro impegnativo. Ho avuto modo di osservare tanti anni fa un operaio mentre buttava giù un’intera parete per creare una stanza più grande. Lo vidi lavorare con un’espressione rilassata, attenta, con colpi di piccone sistematici e ordinati, senza parlare, senza distrarsi. Era totalmente preso da quello che stava facendo, e non dava l’impressione di essere stanco. Fece soltanto una pausa per bere un po’ d’acqua e per cambiare gli attrezzi che stava usando. Il suo lavoro trasmetteva una sensazione di direzione mentale, di permanenza, di presenza, di attenzione e di calma, nonostante il rumore infernale del piccone e del materiale che cadeva.

Allora non resta che provare …

Sì, bisogna mettersi nella situazione e cominciare, vedere cosa succede, fare esperienza. Ma non iniziate buttando giù pareti, della serie: quello era un professionista … voi non rifatelo a casa …


Rita Pancaldo
Psicologa – Psicoterapeuta



Cognitivo-Comportamentale

martedì 24 marzo 2020


L’adolescenza ai tempi del virus
Dott.ssa Francesca Esposito

 Lettera di un adolescente in quarantena


Mi chiamo Elena. Ho 15 anni, tra poco ne compirò 16. Mi sento un po’ male questi giorni in quarantena. Non lo so, è molto strano. Vorrei uscire da casa,  a volte sento proprio un impulso quasi irrefrenabile. Mi annoio. Pure non andare a scuola, all’inizio è stato divertente, sembrava una vacanza, ora mica tanto. Faccio fatica a studiare, a seguire le lezioni online. Ho tempo per fare i compiti…Ogni tanto penso di non farcela. E poi mi sento sola. Mi manca stare con i miei compagni di classe. Mi mancano i miei amici. Tutti parlano del virus, però non ho capito se anche noi ce lo possiamo prendere, siamo cosi giovani, ti pare che prende pure noi?  Prende solo ai vecchi, forse… però forse no… forse hanno ragione. Bisogna stare a casa adesso, ma vedrai che dopo il 3 aprile le cose andranno meglio, vero, si torna alla normalità, no? Lo capisco sì che bisogna stare a casa, lo capisco il motivo. Solo che è proprio difficile!
Si okay, con gli amici parliamo sui social. Però non è la stessa cosa. Ho voglia di fare gruppo. Però adesso non possiamo, e quindi faccio video, vedo i like, instagram, facebook, tik tok… mio fratello che ha 17 anni gioca un sacco alla playstation online… ma quando finirà? Ma a scuola si torna? Il gruppo mi manca tantissimo. I miei amici mi mancano tantissimo. E a dirla tutta mi manca anche il mio fidanzato.
Poi ci sono i miei… a volte non li sopporto. Stare tutto il giorno dentro casa con loro è terrificante. Ho paura che mi ascoltano mentre parlo al telefono con le mie amiche. Mai un attimo di privacy. Certe volte penso che esagerano con questa storia… altre volte penso invece che non esagerano, che hanno ragione. Non lo so, mi sento confusa, ho paura, tanta, e poi mi sento un sacco arrabbiata, però non so bene con chi prendermela. Stare in casa con i miei  è assurdo, per non parlare di quando discutono, e poi mica mi capiscono! Però ho paura se qualcuno dei miei esce a fare la spesa. E c’è anche da dire che qualche volta (anche se non lo ammetto) mi piace anche quando facciamo delle cose insieme, quando parliamo. Mi rassicura parlare con loro quando mi sento spaventata. 
Vorrei ricominciassero normalmente le cose. Se poi sento il telegiornale mi spavento un sacco. Con i miei ogni tanto parlo, però è difficile, non lo so se mi capiscono, anche quando gli dico che voglio uscire, e gli grido che non ne posso più di loro e di stare a casa… ma le cose torneranno alla normalità?

L’adolescente durante l’emergenza
L’attuale situazione di emergenza sta mettendo a dura prova l’emotività di una persona adulta, possiamo immaginare come si sente un adolescente in questo periodo? L’obbligo di stare in casa, per di più a stretto contatto con i genitori, le emozioni, già potenti in questo periodo i amplificate dall’età dello sviluppo, la propensione al rischio e l’inconsapevolezza delle conseguenze in questo momento ancor più rischiose del solito , l’impossibilità di vedere gli amici tanto importanti, l’identità in via di formazione con le conseguenti difficoltà a creare i propri spazi e a “sentirsi nel suo spazio”, la difficoltà a rispettare le regole, la scuola online….




Come superare questo momento: qualche “dritta” per gli adolescenti
  • Ricordiamoci che è un momento. Anche se non è chiaro quando finirà, avrà una fine. Adesso è necessario rispettare le regole (ne va della salute di tutti: tua, dei tuoi cari e dei tuoi amici). Potrai poi tornare alla tua vita. Potrebbe essere una buona occasione per sperimentarti un po’ nel fare qualcosa che “ti va stretto” e scoprire quanto sei bravo a farlo!
  • Se ti senti arrabbiato è del tutto naturale. Ricordati che i tuoi genitori non sono i responsabili di questa quarantena forzata. Prova a parlarne con loro.
  • È utile che strutturi la tua giornata. Ti aiuterà ad annoiarti meno e a far passare il tempo più velocemente. Prevedi nella tua organizzazione un tempo per seguire le lezioni, un tempo per fare i compiti, un tempo per prenderti cura di te e un tempo per giocare e rilassarti.
  • Ti mancano i tuoi amici, hai ragione. Ti manca il gruppo. È del tutto naturale che tu avverta questa mancanza. Prova allora, oltre ai giochi “online” con la playstation, a concordare con i tuoi genitori uno spazio telefonico con i tuoi amici, spazio in cui i tuoi genitori saranno “al di fuori dalla tua cameretta”. Questo aiuterà a te a mantenere i contatti e il tuo spazio, e allenerà tutta la famiglia ai “confini”: ciascuno con il suo spazio, pur stando dentro la stessa casa per tanto tempo. Uno spazio completamente individuale aiuta a ricaricarsi. Utilizza questo spazio anche per attività tutte tue: leggi, scrivi, disegna. Qualcosa che non sia solo “social”.
  • Se ti senti molto spaventato o non ti è chiaro qualcosa parlane. Sentiamo tutti emozioni difficili da gestire in questo periodo, e tu che sei adolescente probabilmente ne sentirai ancora di più. Far fluire le emozioni, parlarne, ti aiuterà a gestirle con più efficacia.
Come superare questo momento: per i genitori
  • Anche per voi, ricordiamoci che è un momento, e finirà. Rispetto alle regole, è fondamentale ora che vi esercitiate  nell’autorevolezza genitoriale: questo “no” ad uscire non è contrattabile. Spiegate le motivazioni per cui non è possibile scendere a patti su alcuni “no”. La paura può esserci alleata in questo caso: senza trasformarla in panico, possiamo sentirla, lasciarla fluire, motivarla e spiegare all’adolescente tutti i rischi che si corrono ad uscire adesso. Senza allarmismi ma attraverso la verità e come guida verso la consapevolezza. E vostro figlio si arrabbia è del tutto naturale: è importante che accogliate la sua rabbia ricordandovi che non siete i colpevoli.
  • Attraverso il vostro esempio e la vostra guida, aiutatelo a strutturare la sua giornata. Potreste fare insieme un “tabellone degli orari” e ricordargli che è “il momento di studiare” o “è il momento di divertirsi”. Potete farlo adesso senza l’ansia di “dover uscire sennò facciamo tardi a scuola”. Questo ci dà maggiore flessibilità, ci consente di impiegare  quei 5 minuti in più, che difficilmente abbiamo nella frenetica quotidianità della nostra società, per spiegare a nostro figlio perché lo esortiamo cosi tanto a fare o non fare qualcosa. Date anche voi per primi l’esempio: strutturare e organizzare la giornata farà bene a tutti.
  • Spiegate e filtrate le informazioni per lui: alcune possono essere molto difficili da digerire, soprattutto per un adolescente. E laddove possibile condividete insieme attività in casa: dai giochi di società ai momenti quotidiani.

Difficile? Si lo è, e nello stesso tempo è possibile! Le crisi possono essere trasformate in opportunità, poiché offre la possibilità di cambiare e di sperimentarsi in aspetti di sé e attività nuove. Con una buona dose di empatia e pazienza, il tempo della semina può dare buoni frutti.

Adolescenza e cambiamenti: per comprenderli meglio
Tutta l’adolescenza è caratterizzata da profonde modificazioni psicosomatiche: corporee, cognitive, emotive, motivazionali e relazionali.
Il cervello
La fisiologia cerebrale subisce forti cambiamenti (il cervello dell’adolescente è in trasformazione): il sistema limbico, che guida le emozioni, è fortemente attivato. La corteccia prefrontale, che controlla l’impulsività, promuove il raziocinio ed il controllo degli impulsi, è in piena evoluzione (Ammaniti, 2002).
Le emozioni
C’è una forte reattività emozionale: le sollecitazioni che per la maggior parte degli adulti sono relativamente poco importanti, nell’adolescente possono avere come conseguenza forti oscillazioni dell’umore con importanti manifestazioni di emozioni come rabbia, eccitazione, tristezza, depressione e imbarazzo, che il ragazzo fatica a gestire. Diventa difficile anche la capacità di tollerare e adeguarsi al cambiamento (Pellegrino, 2010).
Il ragionamento
Cambia fortemente anche la capacità di ragionamento: un ragazzo in adolescenza diventa in grado di manipolare oggetti e situazioni non ancora vissuti in prima persona (quello che Piaget definisce il passaggio dalle operazioni concrete alle operazioni formali). (Geldard e Geldard , 2009).
Le sfide psicologiche
Tra le sfide psicologiche, la più importante che l’adolescente deve affrontare è la formazione di una nuova identità personale: le relazioni con gli altri diventano fondamentali e, nello stesso tempo, l’adolescente sperimenta e ha bisogno di stabilire i propri confini, vale a dire di avere e sentire un “proprio spazio personale”, separato dall’altro.
Le relazioni
Le relazioni tipiche di questo periodo sono quella con se stessi; con i genitori; con i coetanei e gli amici; con la scuola e le altre istituzioni. Ognuno di questi ambiti relazionali ha una sua funzione: di confronto e accudimento con i genitori, di confronto e unione con gli amici, di appartenenza e messa alla prova con la scuola. In questa fase, la sfida più grande per l’adolescente è proprio quella di trovare il proprio “spazio” nella società e trovarsi poi comodo e adatto in tale ruolo. La socializzazione promuove il senso di identità personale e lo sviluppo dell’identità aiuta l’adolescente ad affrontare le aspettative e le regole della società, in un reciproco influenzarsi di queste due dimensioni (Geldard e Geldard , 2009). 
Comprendere meglio un adolescente incrementa l’empatia nei suoi confronti e consente ai genitori di essere guide ancor più consapevoli, più discrete e più salde; allo stesso modo permette al ragazzo di “appoggiarsi” (per come sa farlo a questa età) sentirsi sicuro con i suoi anche nei momenti di crisi come quello che stiamo attraversando.
Dott.ssa Francesca Esposito, Psicologa
Bibliografia
Ammaniti M. (2002) Manuale di psicopatologia dell’adolescenza, Raffaello Cortina Editore
Ammaniti M. (2015), La famiglia adolescente, Gius., Laterza & Figli, Bari – Roma
Geldard K., Geldard D. (2009), Il counseling agli adolescenti, Edizioni Centro Studi Erikson,Trento
E. Giusti, M. Vigliante, (2009), L’anamnesi psicologica, Edizioni Sovera
Juul J. (2006), I no per amare, Urra – Apogeo srl, Milano
Maggi A. (2019), Educhiamoli alle regole, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano
Pellegrino F., Del Buono G., Del Buono S., Novi S., RuggeroG., Attanasio V., Baldoni F. (2019), L’età adolescenziale tra fisiologia e patologia, vol. 10 – cap. XVII, pp. 1-49,  C.G. Edizioni Medico Scientifiche 


lunedì 23 marzo 2020


 Lettera di un adolescente in quarantena
Mi chiamo Elena. Ho 15 anni, tra poco ne compirò 16. Mi sento un po’ male questi giorni in quarantena. Non lo so, è molto strano. Vorrei uscire da casa,  a volte sento proprio un impulso quasi irrefrenabile. Mi annoio. Pure non andare a scuola, all’inizio è stato divertente, sembrava una vacanza, ora mica tanto. Faccio fatica a studiare, a seguire le lezioni online. Ho tempo per fare i compiti…Ogni tanto penso di non farcela. E poi mi sento sola. Mi manca stare con i miei compagni di classe. Mi mancano i miei amici. Tutti parlano del virus, però non ho capito se anche noi ce lo possiamo prendere, siamo cosi giovani, ti pare che prende pure noi?  Prende solo ai vecchi, forse… però forse no… forse hanno ragione. Bisogna stare a casa adesso, ma vedrai che dopo il 3 aprile le cose andranno meglio, vero, si torna alla normalità, no? Lo capisco sì che bisogna stare a casa, lo capisco il motivo. Solo che è proprio difficile!
Si okay, con gli amici parliamo sui social. Però non è la stessa cosa. Ho voglia di fare gruppo. Però adesso non possiamo, e quindi faccio video, vedo i like, instagram, facebook, tik tok… mio fratello che ha 17 anni gioca un sacco alla playstation online… ma quando finirà? Ma a scuola si torna? Il gruppo mi manca tantissimo. I miei amici mi mancano tantissimo. E a dirla tutta mi manca anche il mio fidanzato.
Poi ci sono i miei… a volte non li sopporto. Stare tutto il giorno dentro casa con loro è terrificante. Ho paura che mi ascoltano mentre parlo al telefono con le mie amiche. Mai un attimo di privacy. Certe volte penso che esagerano con questa storia… altre volte penso invece che non esagerano, che hanno ragione. Non lo so, mi sento confusa, ho paura, tanta, e poi mi sento un sacco arrabbiata, però non so bene con chi prendermela. Stare in casa con i miei  è assurdo, per non parlare di quando discutono, e poi mica mi capiscono! Però ho paura se qualcuno dei miei esce a fare la spesa. E c’è anche da dire che qualche volta (anche se non lo ammetto) mi piace anche quando facciamo delle cose insieme, quando parliamo. Mi rassicura parlare con loro quando mi sento spaventata. 
Vorrei ricominciassero normalmente le cose. Se poi sento il telegiornale mi spavento un sacco. Con i miei ogni tanto parlo, però è difficile, non lo so se mi capiscono, anche quando gli dico che voglio uscire, e gli grido che non ne posso più di loro e di stare a casa… ma le cose torneranno alla normalità?

L’adolescente durante l’emergenza
L’attuale situazione di emergenza sta mettendo a dura prova l’emotività di una persona adulta, possiamo immaginare come si sente un adolescente in questo periodo? L’obbligo di stare in casa, per di più a stretto contatto con i genitori, le emozioni, già potenti in questo periodo i amplificate dall’età dello sviluppo, la propensione al rischio e l’inconsapevolezza delle conseguenze in questo momento ancor più rischiose del solito , l’impossibilità di vedere gli amici tanto importanti, l’identità in via di formazione con le conseguenti difficoltà a creare i propri spazi e a “sentirsi nel suo spazio”, la difficoltà a rispettare le regole, la scuola online….


Come superare questo momento: qualche “dritta” per gli adolescenti
  • Ricordiamoci che è un momento. Anche se non è chiaro quando finirà, avrà una fine. Adesso è necessario rispettare le regole (ne va della salute di tutti: tua, dei tuoi cari e dei tuoi amici). Potrai poi tornare alla tua vita. Potrebbe essere una buona occasione per sperimentarti un po’ nel fare qualcosa che “ti va stretto” e scoprire quanto sei bravo a farlo!
  • Se ti senti arrabbiato è del tutto naturale. Ricordati che i tuoi genitori non sono i responsabili di questa quarantena forzata. Prova a parlarne con loro.
  • È utile che strutturi la tua giornata. Ti aiuterà ad annoiarti meno e a far passare il tempo più velocemente. Prevedi nella tua organizzazione un tempo per seguire le lezioni, un tempo per fare i compiti, un tempo per prenderti cura di te e un tempo per giocare e rilassarti.
  • Ti mancano i tuoi amici, hai ragione. Ti manca il gruppo. È del tutto naturale che tu avverta questa mancanza. Prova allora, oltre ai giochi “online” con la playstation, a concordare con i tuoi genitori uno spazio telefonico con i tuoi amici, spazio in cui i tuoi genitori saranno “al di fuori dalla tua cameretta”. Questo aiuterà a te a mantenere i contatti e il tuo spazio, e allenerà tutta la famiglia ai “confini”: ciascuno con il suo spazio, pur stando dentro la stessa casa per tanto tempo. Uno spazio completamente individuale aiuta a ricaricarsi. Utilizza questo spazio anche per attività tutte tue: leggi, scrivi, disegna. Qualcosa che non sia solo “social”.
  • Se ti senti molto spaventato o non ti è chiaro qualcosa parlane. Sentiamo tutti emozioni difficili da gestire in questo periodo, e tu che sei adolescente probabilmente ne sentirai ancora di più. Far fluire le emozioni, parlarne, ti aiuterà a gestirle con più efficacia.
Come superare questo momento: per i genitori
  • Anche per voi, ricordiamoci che è un momento, e finirà. Rispetto alle regole, è fondamentale ora che vi esercitiate  nell’autorevolezza genitoriale: questo “no” ad uscire non è contrattabile. Spiegate le motivazioni per cui non è possibile scendere a patti su alcuni “no”. La paura può esserci alleata in questo caso: senza trasformarla in panico, possiamo sentirla, lasciarla fluire, motivarla e spiegare all’adolescente tutti i rischi che si corrono ad uscire adesso. Senza allarmismi ma attraverso la verità e come guida verso la consapevolezza. E vostro figlio si arrabbia è del tutto naturale: è importante che accogliate la sua rabbia ricordandovi che non siete i colpevoli.
  • Attraverso il vostro esempio e la vostra guida, aiutatelo a strutturare la sua giornata. Potreste fare insieme un “tabellone degli orari” e ricordargli che è “il momento di studiare” o “è il momento di divertirsi”. Potete farlo adesso senza l’ansia di “dover uscire sennò facciamo tardi a scuola”. Questo ci dà maggiore flessibilità, ci consente di impiegare  quei 5 minuti in più, che difficilmente abbiamo nella frenetica quotidianità della nostra società, per spiegare a nostro figlio perché lo esortiamo cosi tanto a fare o non fare qualcosa. Date anche voi per primi l’esempio: strutturare e organizzare la giornata farà bene a tutti.
  • Spiegate e filtrate le informazioni per lui: alcune possono essere molto difficili da digerire, soprattutto per un adolescente. E laddove possibile condividete insieme attività in casa: dai giochi di società ai momenti quotidiani.

Difficile? Si lo è, e nello stesso tempo è possibile! Le crisi possono essere trasformate in opportunità, poiché offre la possibilità di cambiare e di sperimentarsi in aspetti di sé e attività nuove. Con una buona dose di empatia e pazienza, il tempo della semina può dare buoni frutti.

Adolescenza e cambiamenti: per comprenderli meglio
Tutta l’adolescenza è caratterizzata da profonde modificazioni psicosomatiche: corporee, cognitive, emotive, motivazionali e relazionali.
Il cervello
La fisiologia cerebrale subisce forti cambiamenti (il cervello dell’adolescente è in trasformazione): il sistema limbico, che guida le emozioni, è fortemente attivato. La corteccia prefrontale, che controlla l’impulsività, promuove il raziocinio ed il controllo degli impulsi, è in piena evoluzione (Ammaniti, 2002).
Le emozioni
C’è una forte reattività emozionale: le sollecitazioni che per la maggior parte degli adulti sono relativamente poco importanti, nell’adolescente possono avere come conseguenza forti oscillazioni dell’umore con importanti manifestazioni di emozioni come rabbia, eccitazione, tristezza, depressione e imbarazzo, che il ragazzo fatica a gestire. Diventa difficile anche la capacità di tollerare e adeguarsi al cambiamento (Pellegrino, 2010).
Il ragionamento
Cambia fortemente anche la capacità di ragionamento: un ragazzo in adolescenza diventa in grado di manipolare oggetti e situazioni non ancora vissuti in prima persona (quello che Piaget definisce il passaggio dalle operazioni concrete alle operazioni formali). (Geldard e Geldard , 2009).
Le sfide psicologiche
Tra le sfide psicologiche, la più importante che l’adolescente deve affrontare è la formazione di una nuova identità personale: le relazioni con gli altri diventano fondamentali e, nello stesso tempo, l’adolescente sperimenta e ha bisogno di stabilire i propri confini, vale a dire di avere e sentire un “proprio spazio personale”, separato dall’altro.
Le relazioni
Le relazioni tipiche di questo periodo sono quella con se stessi; con i genitori; con i coetanei e gli amici; con la scuola e le altre istituzioni. Ognuno di questi ambiti relazionali ha una sua funzione: di confronto e accudimento con i genitori, di confronto e unione con gli amici, di appartenenza e messa alla prova con la scuola. In questa fase, la sfida più grande per l’adolescente è proprio quella di trovare il proprio “spazio” nella società e trovarsi poi comodo e adatto in tale ruolo. La socializzazione promuove il senso di identità personale e lo sviluppo dell’identità aiuta l’adolescente ad affrontare le aspettative e le regole della società, in un reciproco influenzarsi di queste due dimensioni (Geldard e Geldard , 2009). 
Comprendere meglio un adolescente incrementa l’empatia nei suoi confronti e consente ai genitori di essere guide ancor più consapevoli, più discrete e più salde; allo stesso modo permette al ragazzo di “appoggiarsi” (per come sa farlo a questa età) sentirsi sicuro con i suoi anche nei momenti di crisi come quello che stiamo attraversando.
Dott.ssa Francesca Esposito, Psicologa
Bibliografia
Ammaniti M. (2002) Manuale di psicopatologia dell’adolescenza, Raffaello Cortina Editore
Ammaniti M. (2015), La famiglia adolescente, Gius., Laterza & Figli, Bari – Roma
Geldard K., Geldard D. (2009), Il counseling agli adolescenti, Edizioni Centro Studi Erikson,Trento
E. Giusti, M. Vigliante, (2009), L’anamnesi psicologica, Edizioni Sovera
Juul J. (2006), I no per amare, Urra – Apogeo srl, Milano
Maggi A. (2019), Educhiamoli alle regole, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano
Pellegrino F., Del Buono G., Del Buono S., Novi S., RuggeroG., Attanasio V., Baldoni F. (2019), L’età adolescenziale tra fisiologia e patologia, vol. 10 – cap. XVII, pp. 1-49,  C.G. Edizioni Medico Scientifiche 

venerdì 20 marzo 2020


Non siamo più potenti di un pipistrello

Dott.ssa Stefania Attanasi


Senza voler ricadere nell’esagerata interpretazione medievale della punizione divina (peste= flagello di Dio) è un dato di fatto che da quando siamo chiusi tutti in casa ed abbiamo interrotto la nostra irrefrenabile produttività a causa del Covid-19, dopo pochissimi giorni l'aria della Cina è meno inquinata, l'acqua dei canali di Venezia più pulita e le strade di Roma svuotate di rifiuti.


Anch’io mi sono fermata, e tra le cose belle fatte in questi giorni di isolamento, sono andata a ripescare un testo di G. Bateson, le cui parole potrebbero dare forse un senso a ciò che sta accadendo adesso al nostro pianeta:
"Le patologie dei processi sistemici insorgono proprio perché la costanza e la sopravvivenza di un qualche sistema più vasto vengono mantenute mediante cambiamenti nei sottosistemi costituenti". ("Verso un'ecologia della mente" 1972, p.390)
Con queste parole il noto biologo intende dire che quando un sistema vivente più ampio, come ad esempio l’ambiente in cui viviamo, è a rischio, la logica della natura sacrifica al cambiamento sempre i suoi sottosistemi più piccoli.  Secondo Bateson, infatti, la logica della natura è profondamente diversa e più complessa della semplice logica della sopravvivenza e dell’adattamento di una singola specie. E ancora aggiunge: “I maggiori problemi del mondo derivano proprio dalla differenza tra come funziona la natura ed il modo in cui gli esseri umani pensano.”


…Come noto a tutti, l'uomo esercita un'influenza sempre crescente sull’ecosistema in cui vive (sul clima, sulla temperatura, ecc.) con attività come la combustione di fossili, la deforestazione, l'allevamento intensivo di animali, ecc. Queste attività aggiungono enormi quantità di gas nell’atmosfera, provocando il surriscaldamento globale e da qui, a catena, lo scioglimento dei ghiacciai, l’innalzamento del livello dei mari, l’acidificazione degli oceani, la perdita di biodiversità, ecc.
Quasi certamente la natura possiede dei meccanismi interni autocorrettivi per autoproteggersi e resistere anche allo strapotere esercitato dall’uomo. Ma, in questa catena complessa di eventi in cui l’uomo costituisce solo un piccolissimo anello, chi può dire quale sia la causa e quale l’effetto di un fenomeno? In effetti nessuno è in grado ancora di conoscere le cause certe della pandemia e tante sono le speculazioni a riguardo. La percezione più diffusa però tra la gente è che il virus sia sopraggiunto come una sorta di punizione per le azioni poco etiche commesse dall’uomo sull’ambiente e sulle altre biodiversità. E’ forse troppo fantasioso pensare che questo virus sia giunto per fermare l’inarrestabile macchina umana e ristabilire certi equilibri naturali più “sacri” che l’uomo stesso osa sfidare da troppo tempo? Non siamo forse adesso costretti a ripensare al nostro modo di vivere, alle nostre abitudini, alla relazione che abbiamo con l’ambiente e con tutte le altre specie viventi? E mentre attendiamo dalla scienza una soluzione a questa pandemia, un vaccino o una cura, la stessa tecnologia non è in grado di fornire un numero sufficiente di respiratori per salvare tante vite umane. Come mai? Probabilmente nel momento in cui si producono gli strumenti o i medicinali utili, la preoccupazione dominante è quella degli introiti economici e non dell’eventuale fabbisogno.
L’irrefrenabile corsa alla produttività ed al consumismo dell’uomo porta a conseguenze importanti e gravi sull’ecosistema terreste, sulle biodiversità e sull’uomo stesso….

Questo virus sta certamente ricordando alla nostra specie l'infinita piccolezza e fragilità da cui siamo partiti nell'ambito delle biodiversità. E poichè non siamo stati in grado di stare dentro i limiti del rispetto per le altre specie che la natura ci aveva imposto, non come impedimento ma come  ulteriore possibilità di dimostrare la nostra grandezza, la natura stessa ci sta riportando alla condizione di fragilità iniziale.

Non siamo più potenti di un pipistrello, di un orso polare, di un albero, di un fiore, dell’aria che respiriamo, dell’acqua che beviamo.   


Dott.ssa Stefania Attanasi


venerdì 31 gennaio 2020

Vaginismo primario
a cura di Giusy Nasello

Scopo: L’Autrice, nel corso dell’attività clinica, ha rilevato la presenza di sintomi di ansia sociale nelle donne affette da vaginismo primario. In particolare, in questo lavoro,  intende dare rilievo alle manifestazioni fisiologiche riportate dalle pazienti, come rossore cutaneo, aumento del battito cardiaco, aumento del ritmo respiratorio, accompagnati dal desiderio pressante di allontanarsi dalla situazione temuta. Le pazienti definivano questo stato emozionale come vergogna e imbarazzo rispetto al giudizio altrui o al timore del giudizio altrui. Pertanto lo scopo della ricerca effettuata su un campione di 25 soggetti, è quello di mettere in evidenza la comorbidità del vaginismo con l’ansia sociale, con il fine di contribuire ad un più mirato intervento clinico ed aumentare la qualità degli interventi di prevenzione.

Materiali e metodi: La ricerca si basa su un campione di 25 donne affette da vaginismo primario, provenienti dal Centro Italia, con una età media tra i 20 e i 45 anni. Il vaginismo primario è stato diagnosticato attraverso l’assessment nel setting clinico di coppia, l’ansia sociale è stata testata attraverso CBA 2.0 Cognitive Behavioural Assessment Scale 7 Subscale I-P 2 relativa al rifiuto sociale, per testare la paura del giudizio sociale è stato utilizzato il FNE Fear of Negative Evalutation Scale of Watson and Friend (1969).

Risultati: I risultati ottenuti sono i seguenti: rispetto al CBA 2.0 Scale 7 Subscale I-P 2 il rango percentile ottenuto è stato tra 90 e 99, quindi superiore al limite di norma (80); rispetto al FNE un soggetto non mostra ansia, 2 soggetti presentano rispettivamente un punteggio di 18 e 19, al limite del valore di norma (19); i restanti 22 soggetti hanno ottenuto risultati tra 21 e 29 oltre al limite di norma.

Conclusioni: L’Autrice conclude che, l’esposizione ad un ambiente familiare estremamente protettivo e timoroso verso le relazioni sociali presenti nella storia di vita delle pazienti vaginismiche, potrebbe contribuire alla formazione di una rappresentazione dell’”altro” come intrusivo e minaccioso. La sintomatologia tipica delle pazienti vaginismiche lascia intuire un comportamento volto all’evitamento della relazione sessuale nella sua dimensione fisica ed emozionale. 


Keyword: vaginism, social anxiety, social phobia, sexual disorders, shame, judgement fear. 

giovedì 30 gennaio 2020

un disagio spesso sottovalutato: la vulvodinia


La Vulvodinia è un disturbo da dolore sessuale e non sessuale che coinvolge la vulva, quindi  grandi e piccole labbra e vestibolo.
La vulvodinia può essere localizzata in un' area specifica o generalizzata in tutte le parti della vulva.
Può essere generale, che si manifesta in più occasioni o situazionale, che si manifesta in situazioni specifiche.

È  una condizione invalidante della donna che soffre fastidio o dolore continuo, intermittente o dolore durante il rapporto sessuale che spesso impedisce la penetrazione. 

Le cause non sono state accertate, ma l' osservazione dei casi clinici evidenzia una causa scatenante di tipo infiammatorio come candidosi, che può diventare cronica. Anche l' utilizzo continuo di salvaslip o intimo diverso dal cotone possono causare infiammazione  causa della ridotta traspirazione.

Le cause psicologiche sono in fase di osservazione clinica presso il nostro centro Amepsi che collabora con più figure professionali. 

In uno studio svolto in donne tra i 18 e i 45 anni tra il 2017 e 2018 e ancora in corso, ho riscontrato che le cause psicologiche sono ben circoscritte.

Depressione
Ansia da controllo spesso ossessivo 
Esperienza di umiliazione vissuta in età adolescenziale che coinvolge la femminilità 
Presenza di personalità forte e controllante in uno dei genitori
Ansia sociale
Fobia o evitamento sessuale

La terapia coinvolge più figure professionali in quanto la vulvodinia ha cause multifattoriali, pertanto psicoterapeuta, sessuologo e ginecologo lavorano secondo un approccio integrato.

Il Trattamento comprende 
- Terapia farmacologica
- Trattamento localizzato per il rilassamento dei muscoli pelvici
- Psicoterapia ad approccio cognitivo comportamentale individuale, di coppia o familiare 
- Terapia sessuale individuale o di coppia

Queste caratteristiche  non sono ancora supportate state dalla letteratura contemporanea in quanto molti studi sono ancora in corso.
L' osservazione clinica, attualmente, è l' unico metodo di studio in grado di fornire risultati immediati da sottoporre ad analisi scientifica.

Dott.ssa Giuseppina Nasello